Esistono numerose leggende su questi straordinari animali, anche per quanto riguarda le razze feline.
Il gatto e la Fata Morgana
Un gatto si era innamorato di una splendida giovinetta; egli pregò Morgana di trasformarlo in un uomo. La Fata provò pietà per la sua passione amorosa e lo trasformò in un affascinante fanciullo. Come la giovinetta lo vide, se ne innamorò e lo portò a casa sua. Mentre se ne stava sdraiato sul letto, Morgana volle sapere se il gatto avesse mutato con il corpo anche la sua indole e lasciò andare in mezzo alla stanza un topolino. Quello allora, dimenticandosi della situazione in cui si trovava, balzò giù dal letto, ma inciampò in una tenda della camera e il topo scomparse.
La Fata Morgana sorridendo gli tese la mano e accolse gli amanti nel suo Castello cangiandoli in "cavaliere e dama".
Il sacro gatto di Birmania
Si narra che in Birmania prima della venuta del Buddha, vivevano gli Khmer, un popolo tranquillo e molto religioso che venerava le sue divinità in splendidi templi. In uno di questi dedicato a Tsun-Kian- Kse, divinità che presiedeva alla reincarnazione delle anime, si ergeva una sua preziosissima statua tutta d'oro massiccio che aveva due enormi e preziosi zaffiri come occhi. Il tempio era sorvegliato giorno e notte da monaci che si prendevano cura di cento gatti, bianchi dalle zampe colore della terra, poiché ritenevano che dopo la morte si sarebbero incarnati nei gatti sacri. Nel tempio viveva anche un vecchio monaco molto venerato e rispettato di nome Kittah Mun-Ha che trascorreva l’esistenza pregando e venerando la dea ed aveva come compagno Sihn, un gatto bianco dagli occhi gialli. Un giorno il tempio fu assalito da alcuni predoni che lo saccheggiarono e uccisero Kittah Mun-Ha mentre era in meditazione, insieme al suo gatto bianco, davanti alla statua della dea. Non appena Sinh vide il suo amato padrone steso al suolo, saltò sul corpo del maestro guardando intensamente la dea per chiedere giustizia. Avvenne allora una magica trasformazione: proprio nell'istante in cui il monaco morì, il mantello del gatto acquisì una sfumatura dorata come l'abito della dea, i suoi occhi mutarono dal giallo al blu zaffiro ed il muso, le zampe e la coda si tinsero dei colori della terra, mentre le estremità delle zampe, a contatto con il corpo del monaco, divennero di un bianco candido, simbolo di purezza. Dopo alcuni giorni di veglia Sihn morì, e tutti gli altri gatti del tempio divennero magicamente del suo stesso colore che, da quel momento in poi, venne trasmesso ai loro discendenti. Per via di questa suggestiva leggenda il Birmano viene considerato Sacro. Nella realtà esistono varie ipotesi sull’origine di questa splendida razza: una di queste racconta che dei monaci diedero in dono ad un ufficiale inglese una coppia di gatti, purtroppo durante il viaggio il maschio morì ma fortunatamente la femmina che era in dolce attesa con la sua cucciolata diede inizio alla razza Birmana. Un’altra ipotesi vuole il Birmano come il risultato di un incrocio tra un Persiano e un Siamese avvenuto in Francia nel 1924.
Si narra che in Birmania prima della venuta del Buddha, vivevano gli Khmer, un popolo tranquillo e molto religioso che venerava le sue divinità in splendidi templi. In uno di questi dedicato a Tsun-Kian- Kse, divinità che presiedeva alla reincarnazione delle anime, si ergeva una sua preziosissima statua tutta d'oro massiccio che aveva due enormi e preziosi zaffiri come occhi. Il tempio era sorvegliato giorno e notte da monaci che si prendevano cura di cento gatti, bianchi dalle zampe colore della terra, poiché ritenevano che dopo la morte si sarebbero incarnati nei gatti sacri. Nel tempio viveva anche un vecchio monaco molto venerato e rispettato di nome Kittah Mun-Ha che trascorreva l’esistenza pregando e venerando la dea ed aveva come compagno Sihn, un gatto bianco dagli occhi gialli. Un giorno il tempio fu assalito da alcuni predoni che lo saccheggiarono e uccisero Kittah Mun-Ha mentre era in meditazione, insieme al suo gatto bianco, davanti alla statua della dea. Non appena Sinh vide il suo amato padrone steso al suolo, saltò sul corpo del maestro guardando intensamente la dea per chiedere giustizia. Avvenne allora una magica trasformazione: proprio nell'istante in cui il monaco morì, il mantello del gatto acquisì una sfumatura dorata come l'abito della dea, i suoi occhi mutarono dal giallo al blu zaffiro ed il muso, le zampe e la coda si tinsero dei colori della terra, mentre le estremità delle zampe, a contatto con il corpo del monaco, divennero di un bianco candido, simbolo di purezza. Dopo alcuni giorni di veglia Sihn morì, e tutti gli altri gatti del tempio divennero magicamente del suo stesso colore che, da quel momento in poi, venne trasmesso ai loro discendenti. Per via di questa suggestiva leggenda il Birmano viene considerato Sacro. Nella realtà esistono varie ipotesi sull’origine di questa splendida razza: una di queste racconta che dei monaci diedero in dono ad un ufficiale inglese una coppia di gatti, purtroppo durante il viaggio il maschio morì ma fortunatamente la femmina che era in dolce attesa con la sua cucciolata diede inizio alla razza Birmana. Un’altra ipotesi vuole il Birmano come il risultato di un incrocio tra un Persiano e un Siamese avvenuto in Francia nel 1924.
Il Manx dell' Isola di Man.
Essendo un gatto irlandese, ed essendo gli irlandesi un popolo che ama le fiabe, il Manx è circondato da leggende affascinanti. Si racconta, ad esempio, che questo micio un tempo avesse la coda, bella e folta. Ma quando ci fu il Diluvio Universale, il gatto arrivò in ritardo all’Arca di Noè, proprio quando le porte si stavano chiudendo. Per non restare a terra fece un gran balzo, entrò nell’Arca ma in quel momento la porta si chiuse mozzandogli la coda. Un’altra storia invece spiega che fu un cane a tranciare, con un morso, la lunga appendice del Manx: cane e gatto erano nemici anche sull’Arca di Noè e il cane, per dispetto, staccò di netto la coda al micio. Questo, vergognandosi dell’amputazione subita si gettò in mare e a nuoto raggiunse l’isola di Man, da cui poi prese il nome. Ma si dice anche che realmente nel 1801 una nave abbia fatto naufragio proprio davanti a Jurby Point, sulle coste dell’isola di Man, e che un gatto senza coda si sia tuffato in acqua e abbia nuotato fino a riva. Esiste poi una leggenda celta che racconta come la scrofa magica Henwen un giorno si trasformò in un gatto e dal momento che i maiali hanno la coda corta ecco spiegata la ragione del curioso aspetto del Manx. Ma si narra anche che il Manx fosse un gatto pigro e affettuoso durante il giorno mentre di notte si trasformasse nel re degli elfi e percorresse i sentieri di campagna su di un carro di fuoco alla ricerca di quegli uomini che bastonano i gatti e vendicare le offese recate ai piccoli felini.
Essendo un gatto irlandese, ed essendo gli irlandesi un popolo che ama le fiabe, il Manx è circondato da leggende affascinanti. Si racconta, ad esempio, che questo micio un tempo avesse la coda, bella e folta. Ma quando ci fu il Diluvio Universale, il gatto arrivò in ritardo all’Arca di Noè, proprio quando le porte si stavano chiudendo. Per non restare a terra fece un gran balzo, entrò nell’Arca ma in quel momento la porta si chiuse mozzandogli la coda. Un’altra storia invece spiega che fu un cane a tranciare, con un morso, la lunga appendice del Manx: cane e gatto erano nemici anche sull’Arca di Noè e il cane, per dispetto, staccò di netto la coda al micio. Questo, vergognandosi dell’amputazione subita si gettò in mare e a nuoto raggiunse l’isola di Man, da cui poi prese il nome. Ma si dice anche che realmente nel 1801 una nave abbia fatto naufragio proprio davanti a Jurby Point, sulle coste dell’isola di Man, e che un gatto senza coda si sia tuffato in acqua e abbia nuotato fino a riva. Esiste poi una leggenda celta che racconta come la scrofa magica Henwen un giorno si trasformò in un gatto e dal momento che i maiali hanno la coda corta ecco spiegata la ragione del curioso aspetto del Manx. Ma si narra anche che il Manx fosse un gatto pigro e affettuoso durante il giorno mentre di notte si trasformasse nel re degli elfi e percorresse i sentieri di campagna su di un carro di fuoco alla ricerca di quegli uomini che bastonano i gatti e vendicare le offese recate ai piccoli felini.
Il Siamese
Narra una leggenda che il primo gatto siamese avesse la coda piegata. Ciò per via del fatto che le principesse di sangue reale Thai, prima di fare il bagno, infilavano i loro preziosi anelli nella coda del gatto, annodandola, in modo che non andassero perduti. La conseguenza fu che la coda rimase piegata.Sempre a proposito dei gatti siamesi, quelli che vivevano alla Corte di Pragadi Pok, il re del Siam, erano custoditi così gelosamente che vigeva la pena di morte per coloro che tentassero di rubarli. Alla morte del sovrano, fu rispettata la sua volontà di preservare questa razza principesca, finché un inglese, Owen Gould, riuscì a corrompere un guardiano con un congruo compenso, ottenendo una bellissima coppia di gatti reali che nel 1891 furono esposti per la prima volta al pubblico al Crystal Palace di Londra. Un'altra leggenda spiega il perché del caratteristico nodo che spesso i siamesi hanno sulla coda: un giorno una coppia di giovani mici si recò nel bosco per cercare un calice che era stato trafugato a corte. Lo trovarono, ma era troppo pesante per trasportarlo. Così decisero di dividersi: la femmina sarebbe rimasta di guardia mentre il maschio avrebbe cercato aiuto. Ma la micia era incinta e stava per partorire, così, per non pedere il calice durante il travaglio, se lo legò alla coda. Quando il maschio tornò, quattro giorni dopo, trovò la gatta che allattava i micini con il calice accanto e dopo averle sciolto la coda vide che vi era rimasto un nodo. Quel nodo lo avevano anche i gattini e sarebbe stato da allora un segno distintivo dei gatti siamesi.
Narra una leggenda che il primo gatto siamese avesse la coda piegata. Ciò per via del fatto che le principesse di sangue reale Thai, prima di fare il bagno, infilavano i loro preziosi anelli nella coda del gatto, annodandola, in modo che non andassero perduti. La conseguenza fu che la coda rimase piegata.Sempre a proposito dei gatti siamesi, quelli che vivevano alla Corte di Pragadi Pok, il re del Siam, erano custoditi così gelosamente che vigeva la pena di morte per coloro che tentassero di rubarli. Alla morte del sovrano, fu rispettata la sua volontà di preservare questa razza principesca, finché un inglese, Owen Gould, riuscì a corrompere un guardiano con un congruo compenso, ottenendo una bellissima coppia di gatti reali che nel 1891 furono esposti per la prima volta al pubblico al Crystal Palace di Londra. Un'altra leggenda spiega il perché del caratteristico nodo che spesso i siamesi hanno sulla coda: un giorno una coppia di giovani mici si recò nel bosco per cercare un calice che era stato trafugato a corte. Lo trovarono, ma era troppo pesante per trasportarlo. Così decisero di dividersi: la femmina sarebbe rimasta di guardia mentre il maschio avrebbe cercato aiuto. Ma la micia era incinta e stava per partorire, così, per non pedere il calice durante il travaglio, se lo legò alla coda. Quando il maschio tornò, quattro giorni dopo, trovò la gatta che allattava i micini con il calice accanto e dopo averle sciolto la coda vide che vi era rimasto un nodo. Quel nodo lo avevano anche i gattini e sarebbe stato da allora un segno distintivo dei gatti siamesi.
Il gatto della tribù dei Ba-Ronga.
Nel suo libro “Il Ramo d’Oro”, James Frazer, nel capitolo 2 intitolato “L’anima eterna dei racconti popolari “, riporta una fiaba dei Ba-Ronga (un’etnia del Sudafrica) in cui si narra come le vite di un intero villaggio fossero racchiuse nel corpo di un gatto. Quando una delle figlie del capo tribù si sposò, volle a tutti i costi portare nella nuova casa il gatto del villaggio. I genitori sapevano bene che nel felino erano racchiuse tutte le vite e si opposero alla decisione della figlia. Alla fine però Titishan, questo era il nome della fanciulla, la spuntò portando con sé il gatto nascondendolo al marito. Un giorno, quando la ragazza si trovava al lavoro nei campi, il gatto fuggì dal suo nascondiglio, entrò nella capanna e, per fare uno scherzo, indossò l’equipaggiamento da guerra dello sposo, mettendosi a ballare e cantare. Alcuni bambini delle capanne vicine, sentendo tanto trambusto, corsero a vedere cosa stesse accadendo e scoprirono, con grande sorpresa, che il gatto faceva salti altissimi e capriole, ballando e cantando a squarciagola. Completamente affascinati, i bambini chiesero di poter partecipare al gioco. Ricevuto un diniego, corsero allora a chiamare lo sposo che, colto da grande paura, lo uccise. Nello stesso istante Titishan cadde a terra moribonda. Il marito, disperato, avvolse il corpo del gatto morto in una stuoia e lo portò al paese natìo insieme alla moglie. Quando i parenti videro la giovane sposa moribonda, la rimproverarono aspramente per non aver voluto ascoltare i saggi consigli che le erano stati dati, ma alla vista della stuoia contenente il gatto morto caddero tutti esanimi uno dopo l’altro; fu così che perì tutto il Clan del Gatto. Il marito, che era rimasto illeso, chiuse il cancello del villaggio con un ramo di palma e, tornando a casa, raccontò a tutti come, uccidendo il felino, si fosse estinta tutta la tribù della sua sposa.
Nel suo libro “Il Ramo d’Oro”, James Frazer, nel capitolo 2 intitolato “L’anima eterna dei racconti popolari “, riporta una fiaba dei Ba-Ronga (un’etnia del Sudafrica) in cui si narra come le vite di un intero villaggio fossero racchiuse nel corpo di un gatto. Quando una delle figlie del capo tribù si sposò, volle a tutti i costi portare nella nuova casa il gatto del villaggio. I genitori sapevano bene che nel felino erano racchiuse tutte le vite e si opposero alla decisione della figlia. Alla fine però Titishan, questo era il nome della fanciulla, la spuntò portando con sé il gatto nascondendolo al marito. Un giorno, quando la ragazza si trovava al lavoro nei campi, il gatto fuggì dal suo nascondiglio, entrò nella capanna e, per fare uno scherzo, indossò l’equipaggiamento da guerra dello sposo, mettendosi a ballare e cantare. Alcuni bambini delle capanne vicine, sentendo tanto trambusto, corsero a vedere cosa stesse accadendo e scoprirono, con grande sorpresa, che il gatto faceva salti altissimi e capriole, ballando e cantando a squarciagola. Completamente affascinati, i bambini chiesero di poter partecipare al gioco. Ricevuto un diniego, corsero allora a chiamare lo sposo che, colto da grande paura, lo uccise. Nello stesso istante Titishan cadde a terra moribonda. Il marito, disperato, avvolse il corpo del gatto morto in una stuoia e lo portò al paese natìo insieme alla moglie. Quando i parenti videro la giovane sposa moribonda, la rimproverarono aspramente per non aver voluto ascoltare i saggi consigli che le erano stati dati, ma alla vista della stuoia contenente il gatto morto caddero tutti esanimi uno dopo l’altro; fu così che perì tutto il Clan del Gatto. Il marito, che era rimasto illeso, chiuse il cancello del villaggio con un ramo di palma e, tornando a casa, raccontò a tutti come, uccidendo il felino, si fosse estinta tutta la tribù della sua sposa.